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9 anni fa
Via Lodovico Il Moro, 35, 20143 Milano, Italia
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Come docente di Disegno e storia dell'Arte al liceo “Elio Vittorini” di Milano negli anni 1997-1999 ho curato con i miei studenti uno studio sull'area dismessa dell’ex fabbrica Richard Ginori. L’indagine, condotta soprattutto attraverso ricerche d’archivio, portò a elaborare un’originale proposta progettuale di recupero dell’intera area industriale.

L’idea di occuparmi come docente di una ricognizione dell’ex fabbrica Richard Ginori ha avuto alla base due esperienze. La prima si lega alla mia formazione come allievo di Raffaele Degrada, professore di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Milano, che mi ha trasmesso la sua impostazione legata alla storiografia francese, quindi Fernand Braudel, Marc Bloch, Jacques Le Goff.

Questa sensibilità per la Storia e per l’arte che non deve raccogliere solo le testimonianze rispetto al potere, ai grandi personaggi storici, alle grandi opere d’arte ma anche rispetto alle masse si è poi legata alla proposta concreta ideata dalla Fondazione “Napoli Novantanove” e fatta propria dal Comune di Milano di aderire all’iniziativa La scuola adotta un monumento.

L’iniziativa nacque a Napoli dopo i danneggiamenti causati a monumenti appena restaurati, per la non conoscenza del loro valore; si istruirono quindi le scuole delle zone limitrofe ai monumenti stessi perché gli studenti spiegassero e valorizzassero il monumento stesso.

Il progetto La scuola adotta un monumento fu esteso a livello europeo tramite la Fondazione Pegaso ed il comune di Milano ci convocò a Palazzo Reale proponendo alle scuole questa iniziativa. Io l’abbracciai subito perché sembrava rispondere alla sensibilità trasmessami dagli studi di Degrada, valorizzando in particolare una fabbrica come monumento storico. C’è poi un aspetto affettivo: in questa zona mio padre aveva un magazzino e nell’area dell’ex centro sportivo Richard-Ginori mi portava a giocare a pallone; ricordo il ponte della ferrovia che si abbassava e i treni che attraversando la strada entravano fin dentro la fabbrica. In zona si poteva anche pensare alla chiesa di San Cristoforo, soggetto interessante per ogni pittore o alla chiesa di san Protaso al Lorenteggio…

Preferii invece un’ex fabbrica completamente abbandonata e in degrado con i vicini i grattacieli di vetro a parallelepipedo appena costruiti; quel che mi aveva colpito era l’edificio neoclassico. Dal lavoro di ricognizione fatto con gli studenti è emerso come qui ci fosse un vero “villaggio operaio”: con le case degli operai appunto, l’asilo di via Watt, il centro sportivo-ricreativo, una scuola professionale interna di ceramica. Tutto era ormai abbandonato: Ligresti aveva comprato la ex Pozzi-Ginori quando le azioni erano ai loro minimi storici, interessato in realtà al valore delle aree edificabili. Chiuse pertanto la produzione a Milano (oltre a San Cristoforo, anche le fabbriche di Lambrate e Corsico) limitandola a pochi punti in Italia e nelle aree lasciate libere costruì servizi per il terziario. Il progetto era sempre lo stesso: riconoscibile qui, a viale Certosa, a Lambrate, in fondo a via Ripamonti ecc. Ecco spuntare anche lì i riconoscibilissimi parallelepipedi di Ligresti.

Con il lavoro degli studenti, da un lato volevamo fare azione di denuncia di tutto ciò, e dall’altro agire perché questo monumento fosse salvato. Ligresti aveva già demolito le case costruite dai Richard per gli operai ed avrebbe demolito anche la parte storica su via Morimondo. Fu così che ci scontrammo subito con la società di Ligresti. Infatti l’ingresso agli archivi dell’ex fabbrica e all’area stessa ci fu vietato. Dopo vari tentativi una segretaria della società mi disse che a Ligresti del prestigio della Ginori non interessava alcunché…

Le foto che corredano la ricerca degli studenti sono state fatte da loro stessi o dal docente, sbirciando dalle fessure. Io un giorno scavalcai la recinzione entrando nell’area. La trovai occupata da extracomunitari, che lì vivevano o bivaccavano in una situazione di chiaro degrado sociale.

Poco dopo l’edificio storico, quello in mattoni, uno di quelli poi restaurati, fu dato alle fiamme in modo credo doloso per risolvere come si faceva allora il problema delle occupazioni abusive di aree dismesse da parte di extracomunitari.

Nel 1988 esisteva ancora l’edificio dello chalet del centro ricreativo, anche questo occupato da giovani punk dei centri sociali. Anch’esso fu distrutto risolvendo così il problema.

In seguito Ligresti vendette la produzione alla ditta Pagnossin, mantenendo il controllo dell’area dismessa. Dopo la fine della nostra ricerca ha venduto anche l’area a un’altra società, che è intervenuta con un restauro di tipo conservativo. In quegli anni grazie ai deputati Verdi del comune di Milano si era ottenuto un vincolo. Ovvero si stabilì che tutto ciò che si confrontava col Naviglio Grande doveva restare.

L’ipertesto prodotto dagli stessi studenti come esito della nostra ricerca racconta anche per immagini cos’era la zona attorno all’area della Richard Ginori. Un’area ricca di fornaci e di mulini, realtà che in parte ricordo di aver visto da ragazzo. Il mulino Desa è ad esempio l’attuale Oratorio di santa Rita di cui ricordo ancora la macina. Quasi tutti i vecchi mulini e le fornaci sono stati distrutti, è rimasta solo la fornace Curti in via Tobagi, dove si fanno ancora vasi e terraglie. Il primo a riconvertire l’antica villa neoclassica in una fabbrica di terraglie e vetreria sfruttando il movimento dei torni mossi dai mulini fu un certo Orelli, poi a metà Ottocento subentrarono i Richard. I Richard seppero incrementare notevolmente la produzione a livello industriale sfruttando al massimo il movimento dei torni e sfruttando prima il Naviglio e poi la ferrovia come via di comunicazione. Allo sviluppo industriale della Richard si deve quindi l’urbanizzazione della zona. Non è un caso che sia le scuole di via Pestalozzi sia la chiesa di San Nazaro e Celso alla Barona siano state edificate proprio in quel periodo.

Rispetto al progetto di riqualificazione elaborato con i miei studenti, i nuovi proprietari ne realizzarono uno di restauro conservativo ma speculativo, ovviamente per guadagnarci. Hanno conservato tutto l’esistente cercando di sfruttare al massimo tutte le volumetrie. Aree a destinazione produttiva sono state trasformate in loft abitabili ed è stata sfruttata al massimo ogni volumetria presente.

Questa riqualificazione è stata comunque un fatto positivo, certo è stato un delitto la distruzione operata da Ligresti delle case per gli operai (basta osservare il sito web della nostra indagine) con le immagini delle torri in costruzione e le case poi sparite.

Noi invece, liberi da ogni interesse finanziario e speculativo, pensammo di rendere di nuovo leggibile il “Villaggio industriale” ricostruendo le case per operai distrutte (oggi un posteggio), ripristinando e riqualificando l’antico ingresso al centro sportivo e ricreativo affacciato sul Naviglio legandolo così alla fabbrica e rivalorizzando con cartelli esplicativi le realtà staccate che nessuno collega più alla Richard Ginori. È il caso dell’asilo Richard di via Watt e l’edificio tra via Lodovico il Moro e via Morimondo che era la sede stessa dell’azienda e dove ancora si possono veder le inferriate con le lettere S C R G, gli stemmi di Milano, della Svizzera (da dove provenivano i Richard), il giglio di Firenze collegato ai Ginori e lo stemma sabaudo in quanto alla Real casa i Richard fornivano le ceramiche. Nel nostro progetto destinammo inoltre una vasta area a parco, adiacente alle residenze ricostruite, con valore di museo all’aperto di archeologia industriale. 

Alessandro Pizzoccheri

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